Care Impertinenti,
oggi diamo spazio a La parola agli autori, la nostra rubrica speciale in cui l'autore parla direttamente al lettore. 

Omar Viel, autore di FULGORE DELLA NOTTE, ci racconta qualcosa di più sul libro e su di sé.

Genere: Narrativa
Casa editrice: Adiaphora Edizioni
Data di Uscita: 30 settembre 2019
Prezzo: € 16.00

Sinossi: Gordon Wilson non si sarebbe dovuto trovare in quella casa. Inebriato dal fascino di una giovane sconosciuta, così simile a sua moglie Una, dà inavvertitamente vita a un incendio e, dalle fiamme, scivola nella realtà la sinuosa figura di una tigre. Gordon fugge, lasciando la propria famiglia disorientata. 
È un passaggio di testimone, quello con la figlia Liz, che da Bristol si reca a Londra alla ricerca del padre, per scoprire infine antichi prodigi e svelare i misteri degli Wilson. Passato e presente si intrecciano nella simbologia della specularità. Un viaggio fatto di incontri bizzarri con personaggi eterei, in equilibrio tra il mondo del visibile e quello dell'invisibile, tra l’universo tangibile e quello dell'immaginazione.
Un cammino esistenziale, fisico, letterario, con incursioni nel poetico.
Un romanzo composito nel quale si innesta un generoso tributo al Romanticismo inglese, che invita a lasciar andare gli ormeggi della ragione per abbandonarsi al dominio del possibile.


Il romanzo di chi scrive un romanzo ha capitoli spesso sorprendenti. Per quanto mi riguarda, di solito lavoro seduto su una poltrona, o alla scrivania, di tanto in tanto in una biblioteca vicino casa, ma qualche volta, quando sono in viaggio, lo faccio dove capita. È così che ho capito una cosa. Abbandonare la routine contagia il testo, lo inquina, favorendo episodi di “cambiamento climatico” su piccola scala. Ricordo che mentre scrivevo una scena di Fulgore della notte ambientata a Bristol, in Inghilterra, mi trovavo all’aeroporto di Doha in attesa di un cambio per Manila, era l’una di notte e benché fosse inverno faceva caldo. Il cambio di latitudine, l’umidità, la percezione nell’aria del vuoto pulviscolare del deserto, sono entrati nel romanzo, hanno trovato una via di accesso attraverso la percezione del corpo, un tunnel spazio-temporale nella corteccia cerebrale, trasformando l’estate del sud dell’Inghilterra nella più torrida di sempre!
Poi ci sono i personaggi, altro capitolo pieno di stupori. Quando comincio un racconto provo l’illusione di poterli immaginare prima di conoscerli, di identificarli in tipi umani noti, di convertirli senza complicazioni in forme verbali e caratteri di stampa. L’ingenuità di questo pensiero si fa evidente fin dalle prime pagine. I personaggi sono gente che non conosco! Li incontro per la prima volta quando scrivo di loro. Li giudico, li credo una cosa, e il più delle volte si rivelano essere altro. Succede lo stesso nella vita, direte. È vero. Tuttavia l’effetto per l’autore è spesso impressionante, un richiamo quasi brutale alla necessità di mantenersi impersonale, un modo per ricondurre l’intera questione dell’identità alla frontiera degli invisibili.
Un ultimo capitolo riguarda i brani perduti. Intere pagine scritte e messe da parte su consiglio di qualcuno o di qualcosa: la sensibilità di un lettore, la difficoltà della prosa, il peso di una riflessione. In altre circostanze i giochi troppi arditi, le strutture sintattiche la cui lettura avrebbe richiesto respiri troppo profondi, gli aspetti particolarmente scultorei dell’architettura del romanzo, sono stati messi al bando da esigenze editoriali. Ricordo di avere trascorso una domenica a confrontarmi con Shelley nel tentativo di tradurre fedelmente alcuni versi della sua Evening: Ponte al mare, Pisa. Per conservare le rime, avevo coinvolto nell’esercizio anche il mio amico Massimo Rizzante, allora visiting professor a Tokyo.
Il risultato, perduto, era questo:

L’abisso che ha inghiottito il sole è accerchiato
Dalle più nere cortine di una nube cinerea
Simile a un orizzonte di monti ammantato –
Si espande, però, e ascende sempre meno aerea,
In vetta uno squarcio azzurro mare
Che la stella della sera attraversa e fa brillare.

Così va la vita, avrebbe detto Kurt Vonnegut.



OMAR VIEL ha studiato Conservazione dei Beni Culturali e si occupa di comunicazione in diversi ambiti, tra i quali quello artistico. È stato finalista del Premio Italo Calvino nel 1992 e ha pubblicato racconti su Nazione Indiana, Nuova Prosa e nell’antologia Venise, collection Bouquins, pubblicata dall’editore francese Robert Laffont.

Hanno scritto di lui:

«Un libro di magia, e la magia è la scrittura avvolgente. Se entri, preparati a fare i conti con il mistero e la prepotenza dei miracoli. Se hai anche la fortuna di uscirne, torni a casa con un sorriso.»

Gian Luca Favetto

Grazie Omar per essere stata qui con noi!
E lettori, vi siete incuriositi? 

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